Più che a un adagio, questo titolo è uno spunto per riflettere. Facciamolo insieme. L’uomo, per sua natura, è un animale che a differenza degli altri esseri, fa un uso articolato della parola per integrarsi con i simili e l’atto del comunicare è probabilmente l’unico indicatore che specifica il nostro co-esistere perché se parliamo o comunichiamo è per dire qualcosa a qualcuno. Ma parlare e comunicare lo si fa anche con se stessi. E questo è il punto interessante. Provate a parlare con voi, pensate a quando siamo in auto da soli, quando facciamo sport o guardiamo il temporale dalla finestra. Quanti pensieri, quante riflessioni e costatazioni. Provate ora a pensare senza dare la parola ai vostri pensieri. Impossibile vero? Incredibile, pensiamo e percepiamo i nostri pensieri attraverso l’uso delle parole. Che strano, sembra ovvio credere che i pensieri utilizzino le parole per esprimersi e invece è il contrario. Le parole che utilizziamo riescono a rivelare ciò che pensiamo e pensare non conoscendo le parole è impossibile. Allora se ciò è vero, potrei affermare che la quantità e la qualità dei miei pensieri è direttamente collegata alla quantità e qualità delle parole che conosco e quindi se conosco poche parole genero pensieri poveri. Nel 1976 si usavano in Italia circa 1.500 parole, dopo venti anni sono diventate circa 640 (cit.: T.De Mauro). Oggi non saprei ma credo che il declino sia evidente, usiamo sempre più parole ed espressioni uguali per dire cose diverse, apprendiamo sempre più lingue e linguaggi “rapidi” e di “sintesi”. Come facciamo allora a raccontare ciò che proviamo? A trasmettere le emozioni? A descrivere le “venature”, le “ombre” le allusioni dei nostri pensieri, se il referente di tutto questo sono le parole? Forse leggere di più, magari più classici e bei romanzi, esercitare la relazione parlando e stando di più con gli altri, parlare e conservare la nostra lingua. Che ne pensate? Io vado pazzo per i bei pensieri! Voi?