La formazione deve non solo essere presente nella organizzazione di uno Studio così come in qualsiasi impresa ma deve essere considerata fondamentale e non gestita se e quando avanza il tempo. Formasi è una pratica trasversale, deve esser considerata il filtro ossigenante e purificante dell’ambiente di lavoro. E soprattutto, come vedremo va considerata per ciò che significa veramente. Inglese Impresa e Informatica, le tre “I” che il Ministro Letizia Moratti (2001) indicò per dare un volto nuovo alla scuola, e sembra proprio che l’iniziativa si sia ispirata perfettamente al modello consumistico e produttivo. Ma dato che questo non va bene, vorrei riprendere la parola e ricostruirne una sintesi della storia cercando di fermarmi nel momento giusto che è quello lo connota al meglio. Il termine ha origine dal greco “scholè”, che è esattamente il contrario di quello che abbiamo detto poco fa. Significa infatti tempo libero, vacanza, riposo. Che strano pensare alla scuola dandole questi nomi, sembra quasi surreale. Non è cosi perché appunto nella Grecia antica prima e a Roma poi, questo termine esprimeva il luogo in cui si generava il momento del passaggio di posizione, dello scatto personale da uno stato inferiore a quello superiore e così via , fino alla perfezione. Nella scuola si educava alla vita civile, alla democrazia. Per questo lo si associa al termine educare (da e-ducere, portare fuori da una posizione all’altra) . Allontanarsi dal lavoro per liberare il pensiero e l’anima, per concentrarsi sull’apprendimento. Per crescere. Allora il lavoro non aiuta la crescita personale e il sapere, per questo i greci indicano la “scholè” come il luogo in cui la attività come lavoro si ferma e si libera quella del sapere, della conoscenza. La strada della virtù (aretè). La scuola è anche il luogo semplice, dove i ragazzi si ri-conoscono e conoscono il maestro il quale non li fa sedere con la tavoletta intorno a lui per dispensare saperi ma è lì per generare la la vita comune, la reciprocità e per farlo non può che insegnare la parola, il dialogo, la relazione (logos). E la musica (la materia delle Muse. (Musikè, pratica più antica della letteratura) . Il maestro è li non per insegnare mestieri ma raccontando la vita fa uscire (e-duca) i ragazzi da uno stadio inferiore e li conduce, attraverso la dialettica e la retorica, al buon uso delle parola, nella comunità sociale. Così si diventa adulti. Nella scholè si approdava alle verità imparando la musica, la ginnastica e si allenava la memoria. Ora è tutto finito. Le prime due completamente ignorate dagli insegnamenti e relegate a fenomeno di consumo. Riguardo la memoria, anche questa naufragata nel mare di internet che attraverso il suo impiego le ha cambiato nome allineandola alla velocizzazione del mondo. Oggi si chiama consultazione, si usa e si perde tutto nello stesso momento ma nessun problema, basta consultare di nuovo Google e tutto riviene a galla, non serve più allenare il muscolo della memoria con le poesie e le filastrocche, quello che aiutava nell’esperienza della crescita.
Come quasi tutte le persone della mia eta’, ho incontrato la scuola due volte. L’ultima fase, da padre era tutto diverso. Le uscite dalla scuola non erano le stesse. Il consumo aveva già conquistato i piccoli ragazzi che non si guardavano più tra loro per iniziare danze di gioco e di lotta ma avevano in mano gli oggetti che la televisione aveva suggerito la sera prima. Da studente invece ho vissuto gli ultimi battiti del cuore sgangherato e affaticato dei vecchi professori di lettere e di filosofia. Allora non sapevo cosa fosse la scholè. Loro si.
Mentre scrivo ascolto “Long ago and far away” . James Taylor