Una visione della organizzazioni di tipo transazionale o classica, quella che per capirci tende a vedere come fine ultimo la redditività , che ha poca confidenza con le emozioni, anzi ha quasi timore che possano entrare nei flussi gestionali distraendoli a scapito dei risultati. Ebbene questa cultura organizzativa non ha più motivo di esistere. Ce lo dicono le nuove tendenze (visione trasformazionale), i nuovi orientamenti sempre più con l’attenzione alle emozioni, ai sentimenti e ai comportamenti. So di essere retorico ma non posso non dire che dietro un ruolo c’è una persona e quindi non è possibile non considerarne tutte gli atteggiamenti e perché no anche tutte le contraddizioni. Provate a chiedere ad un collaboratore come si trova a lavorare con voi. Sicuramente starà benissimo ma vi accorgerete che tutte le ragioni della sua soddisfazione risiedono in stati d’animo generati dal clima in cui lavora. Dirà ad esempio “mi trovo bene con i colleghi, mi scorre il tempo velocemente, sono ascoltato, danno importanza alle mie opinioni ..” Ecco, tutti elementi che hanno a che fare con le emozioni, nulla di tecnico, nulla a che vedere con i processi. Ogni volta che un collaboratore non viene considerato o ancora peggio viene ripreso duramente, intendo senza possibilità di replica, si genera emozione di rabbia soppressa, bruttissima, pericolosa, e di grande infelicità, sedata solamente da ragioni opportunistiche (cerco di ingoiare, ho bisogno di questo lavoro). E poi, sapete che le emozioni sono molto importanti e saperle individuare e gestire, sia in noi che negli altri, risulta molto utile sia per lo sviluppo economico che per il benessere e la salute del “clima aziendale”? Il lavoro di Salovey e Mayer sull’intelligenza emotiva mostra proprio come questa condizioni i comportamenti e i risultati futuri delle persone e conseguentemente delle organizzazioni. La cultura emotiva incide sul cambiamento e miglioramento dei collaboratori accrescendo anche produttività e rendimenti. Gli studi mostrano inoltre quanto la maggiore soddisfazione lavorativa sia collegata positivamente all’impegno e al coinvolgimento generando un clima di onestà, lealtà e partecipazione oltre che la sperimentazione delle emozioni positive ricada sull’apertura del pensiero e sul rafforzamento e aumento delle risorse personali (B.Fredrickson) . Un clima sereno e positivo mette in contatto persone altrettanto serene e disponibili creando una sincronizzazione armoniosa nella gestione. E’ chiaro comunque che se il Leader ha una visione classica ed è lontano da quella trasformazionale, non potrà certo attivare il cambiamento. Ricordate, parliamo di emozioni, sono beni relazionali, non si possono comprare, bisogna sentirli davvero. Non esiste un modello di business legato alle emozioni e le relazioni, bisogna crederci davvero se vogliamo che funzioni. L’atteggiamento di fiducia, reciprocità e di disponibilità verso gli altri deve esser tale da mettere, quando necessario, in discussione le regole anche attraverso l ‘accoglimento di visioni divergenti aprendosi così a nuovi punti di vista.
Una cultura “emotiva” composta da valori affettivi, dove conta più la comunicazione non verbale, il modo di porsi, di sorridere e ascoltare con consapevolezza e sincerità. E’ un fatto di anima, talmente tanto prezioso che ha un valore infinito, talmente tanto infinito che non ne può avere. Ed è gratuito.
Paolo Barelli. mentre scrivo ascolto “Viaggi Organizzati. Lucio Dalla”