Per entrare in sintonia con il Paziente il clinico deve munirsi di alcune competenze fondamentali con le quali integrare il suo sapere medico. Innanzitutto la capacità di relazione che prevede che tra gli interlocutori si attivi uno scambio generativo di nuove “storie” e poi competenze di sintonia che significa guardare la malattia con partecipazione al mondo dell’altro. Per fare un esempio: il paziente al quale è stata diagnosticata una parodontite n on vive la “notizia” con la stessa precisione con cui la inquadra il clinico. La vedrà come una limitazione delle sue giornate? delle sue abitudini alimentari? del rapporto con gli altri ? Della sua organizzazione economica ? La malattia si colloca quindi in due posizioni: quella biologica, interna , e quella esterna che riguarda il suo mondo e ciò che lo circonda. Ecco che la percezione assume aspetti differenti e il clinico deve in qualche modo immedesimarsi che (in questo caso) non significa comprendere l’altro ma creare, insieme, una nuova storia, fatta delle reciproche narrazioni. Entriamo così nella dimensione tanto complessa quanto affascinante della relazione che esiste solo se alla base si genera una storia. Una narrazione appunto. La polemica circa la duplice modalità di interpretazione della medicina, quella basata solamente sulla evidenza scientifica (EBM Evidence based medicine) e quella narrativa (narrative medicine) risulta come più volte affermato, assolutamente inutile poiché è sempre più chiara la loro integrazione continua. E’ ovvio infatti che qualsiasi patologia rilevata deve essere comunicata al paziente e la forma narrativa è l’unica in grado di “partecipare” al buon andamento della terapia e, spesso anche alla guarigione. Direi che il paradosso risiede proprio nel fatto che la medicina basata sul metodo solamente scientifico non può fare a meno di utilizzare il mezzo comunicativo per informare il paziente. Il lavoro di chi effettua ricerca sull’argomento consiste però nell’individuare e attivare quella “alleanza terapeutica” cit. tra medico e paziente che solo attraverso una relazione ben strutturata e “sentita” può considerarsi efficace. Il clinico attraverso le sue competenze scientifiche informa il paziente che a sua volta racconta la sua storia generando la relazione narrativa che è un nuovo racconto. Solo così consideriamo la malattia un’esperienza singolare e non una serie di elementi definiti dalla scienza che la caratterizzano con precisione unica è vero ma senza quella efficacia che offre la relazione, anche in termini di “miglioramento” del percorso terapeutico. Ogni paziente ha la sua patologia che con il suo vissuto diventa unica e irripetibile e il clinico dovrà con competenza, delicatezza e passione addentrarsi dando i nomi giusti alle cose che incontra nel mondo dell’altro. Nascerà così una storia unica e nuova. Così potente da migliorare le vite di entrambi. Quando possiamo considerare efficace la relazione? Alleanza, Coerenza, Collaborazione, Ascolto, Accordo. Questi alcuni dei termini sui quali costruire una via solida che unisce il medico e il paziente nel loro percorso narrativo. E terapeutico. Nella incomunicabilità ed afasia della collettività, riprendere questo tema ed inserirlo con serietà e professionalità nelle competenze del clinico potrebbe offrire nuovi ed affascinanti percorsi, anche terapeutici perché se esiste l’uomo deve esistere la relazione e nella malattia la generosità si vede meglio.
Mentre scrivo ascolto Santiago Lara “Speechless (From the movie “Aladin”)