Ci chiedono di affrontare la crisi, di capirne i meccanismi ed agire con soluzioni valide. Questa la domanda comune. Andiamo a vedere come si potrebbe però sintetizzare e rivedere questo termine. La crisi consiste nella assenza di nuove idee, di nuove trame da raccontare dovuta probabilmente (e paradossalmente) dal sistema economico attuale. Silenzio, conformità, totalmente sottomessi da metodi sfornati da prestigiose università che si adattano e si replicano in ogni tipo di impresa. Ovunque essa si trovi, chiunque la guidi. Questo meccanismo genera crisi. inevitabilmente. Ma contrariamente a quanto ci insegnano, qualsiasi professionista, qualsiasi imprenditore, non sviluppa mai il suo studio o la sua impresa per una finalità economica. Esiste sempre un ideale, una storia, un’incredibile energia generata dalla voglia di raccontare se stesso e le idee che lo caratterizzano. Di questo ne sono sempre più convinto. E’ affascinante ascoltare la storia di un professionista quando la inizia dagli esami all’università. Ogni passaggio è legato all’entusiasmo e alla logica del miglioramento continuo. I primi pazienti, il trasferimento nello studio più grande, la prima segretaria che finalmente sostituisce una mamma orgogliosa e goffa o una sorella innamorata di lui. Nessun riferimento al denaro, tutto parla di emozioni. C’è solo anima fino al giorno del “cambiamento di missione” (mission shift). Lo studio cambia: la concorrenza, i beni materiali, i conti, la paura di dover licenziare e quella di perdere pazienti o, peggio ancora, i capitali accumulati . Ecco che si crea un meccanismo di resistenza e di prudenza che trasforma i vecchi valori in vecchi ricordi confinando alla mansione di mezzo la prima missione che non è più il fine che gli toglieva la stanchezza, gli faceva trovare risorse (anche economiche), lo faceva ricominciare quando sbagliava, che gli faceva dire sempre “certo che ce la faremo..!”. Li si sentiva la vita, e se ne prendeva sempre di più e di ottima qualità.
Cosa si può fare allora? Intanto leggere i segnali. E ce ne sono molti. Il più indicativo è la resistenza (e a volte l’indifferenza) per le nuove idee, specialmente quando questo fenomeno genera un processo di “immunità”, quando nasce il desiderio di non frequentare più i luoghi di “prima” ma solo territori conosciuti con persone simili. (i circoli, il golf, i club esclusivi, sempre più diffusi, ne sono una chiara testimonianza). Così isolandosi, ci si tiene al sicuro da domande nuove e differenti. Dobbiamo creare spazi nuovi intorno e dentro lo Studio, luoghi in cui si possa parlare e distribuire beni e servizi di tipo relazionale, che siano diversi da quelli economici. E basterebbe semplicemente riavvicinarci alla cultura all’arte alle scienze. Solo così si possono ri-generare quelle virtù che le logiche di mercato e del profitto hanno eletto ad unico indicatore di benessere il denaro. Ma questo non può reggere perché noi siamo un fatto di anima.